La memorialistica della Grande Guerra Uno sguardo dal basso sulla letteratura italiana
La maggior parte delle storie e dei manuali della letteratura italiana dedicano uno
spazio più o meno ampio ad un insieme di testi chiamato “memorialistica (o diaristica1) della Grande Guerra”. Di solito si tenta di precisare la natura del genere, facendo rifermento alle memorialistiche corrispondenti dell’Ottocento e alla memorialistica della seconda guerra mondiale. In molti casi manca qualsiasi inquadratura ulteriore. In realtà, tutta la categoria della memorialistica costituisce un fenomeno abbastanza singolare dal punto di vista dei principi di classificazione attivi. In quanto segue vogliamo realizzare un abbozzo dei problemi legati allo studio letterario di questi testi, dando poi un breve panorama del genere. Infine verranno elaborati alcuni appunti metodologici per una ricerca più approfondita. 0. Una categoria problematica
In una definizione provvisoria e intuitiva della memorialistica, tre criteri delineano le
frontiere del genere. Il primo dei criteri riguarda la natura delle vicende narrate: il termine “memorialistica” implica che la storia raccontata offra uno sguardo retrospettivo su un avvenimento pubblico vasto e sconvolgente come il Risorgimento o una delle guerre mondiali. L’ancoramento storico sembra essere predominante nella definizione, mentre l’angolatura adottata nella maggior parte delle analisi e descrizioni è raramente letteraria. Spesso ci si limita a fornire un elenco dei testi degni di attenzione, aggiungendo poco più che qualche nota sulla posizione ideologica e politica degli autori, o sul valore storico delle testimonianze2. Il testo si profila inoltre come documento autobiografico: l’autore ha vissuto le vicende che racconta e garantisce in questo modo il carattere veritiero della narrazione. Un ultimo elemento riguarda le modalità della narrazione: essa è gestita da un io-narrante autonomo.
Da questi elementi traspare chiaramente il carattere problematico della categoria.
Perché raggruppare da un punto di vista letterario un certo numero di testi che trattano lo stesso avvenimento storico? E’ probabile che Baracca 15C, la testimonianza di Bonaventura Tecchi, edita nel ‘61, da un punto di vista letterario, abbia più elementi in comune con la letteratura del secondo dopoguerra che non con la memorialistica del primo dopoguerra. Inoltre, la compresenza di testi diaristici e memorialistici illustra il carattere eterogeneo della
1 I due termini si usano indifferentemente per un corpo di testi che comprende diari, memorie e forme intermedie. In quanto segue useremo sempre il termine “memorialistica, sapendo che in questa categoria sono inclusi non pochi diari. 2 Un panorama molto ampio, ma concepito in chiave storico - ideologica della Grande Guerra si ritrova in M. ISNENGHI, Il mito della grande guerra, Bari, Laterza, 1989. Un quadro per l’analisi letteraria delle testimonianze sulla prima guerrra mondiale è stato sviluppato da Maria Bartoletti. Vedi M. BARTOLETTI, Memorialistica di guerra, in in AA.VV. Storia Letteraria d’Italia, Il Novecento (cur. A BALDUINO, G. LUTI), vol. I, Padova, Piccin, 1989, pp. 625-653. Questo studio fornisce una bibliografia di un centinaio di testi di memorialistica. Vedi inoltre M. BARTOLETTI, La”letteratura della grande guerra”: fascino e contraddizioni di uno stereotipo, in “Inventario”, n. 14 (n.s.), 1985, pp. 75-96.
categoria. Infine, ci sembra difficile giustificare la scelta di alcuni autori letterari ben conosciuti, senza condurre un’indagine approfondita dei testi, considerandoli in rapporto con la produzione letteraria dei loro autori e - in un senso più ampio - con la letteratura del momento in cui sono stati scritti. Uno studio della memorialistica nell’ambito della letteratura deve spiegare il successo della forma stereotipica suddetta e anzitutto illustrare l’influenzarsi reciproco tra codice letterario e stimoli esterni.
Sarebbe illusorio credere che, tramite un approccio di questo genere, si possa ridare un
unità ai testi tradizionalmente appartenenti alla memorialistica di guerra. Sarà addiritura più interessante studiare le sfumature diverse che contraddistingono i testi tra di loro. Dato che le numerose testimonianze letterarie sulla prima guerra sono state scritte e pubblicate in un arco di tempo che va dal 1915 (il Diario di Trincea di Renato Serra) al 1961 (anno della pubblicazione di Baracca 15C se non si tiene conto de L’anno di Caporetto di Carlo Betocchi, edito soltanto nell’843), l’analisi dovrà tener conto dell’importanza fondamentale di questo dialogo tra passato e presente, tra esperienza vissuta e realtà (artistica, politica ed altra) del momento della stesura.
Altrettanto significativo è lo scarto tra il momento della scrittura e quello della
pubblicazione. Si pensi al Diario di guerra e di prigionia di C.E. Gadda, scritto durante la guerra ma pubblicato soltanto nel 1955. Le ragioni di questo ritardo possono essere molteplici e riguardano sia la volontà dell’autore, sia i limiti di tolleranza della società e della letteratura dell’epoca. Da una parte la delusione del Gadda interventista e nazionalista dà luogo ad una forte crisi d’identità e ad un ripiegamento sulla propria esistenza schietta e scolorita. Il tono cupo, l’evoluzione discendente e l’asprezza nei riguardi dei soldati e dei colleghi avrebbero incontrato durante tutta la prima metà del secolo il rifiuto di una società che tentava disperatamente di dare un senso alle terribili stragi delle guerre mondiali. D’altra parte, anche le caratteristiche stilistiche e compositorie avrebbero ostacolato la pubblicazione dei diari gaddiani: la frammentarietà estrema (si tratta di un diario grezzo, poco lavorato) e alcune manifestazioni embrionali della prosa “maccheronica” gaddiana non sarebbero rientrate assolutamente nel clima letterario dell’immediato dopoguerra, quando era forte il cosiddetto “richiamo all’ordine” e la tendenza verso una lingua più “classica”. Si è dovuto aspettare l’affermarsi di uno sperimentalismo più distaccato, più puramente artistico, a partire dagli anni trenta, e un’epoca di maggiore distacco rispetto alla prima guerra mondiale perché i diari dello scrittore milanese potessero vedere la luce nel 19554.
Questo esempio illustra come lo studio della memorialistica di guerra possa aprire una
prospettiva diversa, un panorama dal basso sulla letteratura italiana di un trentennio. La pertinenza di un tale progetto è difatti maggiore per il periodo tra le due guerre, visto che molte delle pubblicazioni prese in considerazione risalgono a questo periodo. All’interno della memorialistica edita tra le due guerre si delineano due filoni sulla base della data di pubblicazione: una prima ondata di diari e memorie entra sul mercato tra il 1918 e il 1924, dopodiché la pubblicazione di scritti sulla guerra rimane latente per dar luogo ad una seconda ondata all’inizio degli anni trenta (la produzione si spegne quasi completamente dopo il 1934). In quegli anni fu importante l’influsso delle letterature straniere. Si pensi alle traduzioni di A farewell to arms di Hemingway e Im Westen Nichts Neues di E.M.
3 C. BETOCCHI, L’anno di Caporetto (postfazione di M. BIONDI), Firenze, Pananti, 1984. 4 Si noti che l’esordio gaddiano negli anni trenta è pure da collegare con le esperienze belliche dell’autore. La guerra non viene tuttavia presentata in chiave prevalentemente memorialistica: La madonna dei filosofi (Firenze, Edizioni di “Solaria”, 1931) e Il castello di Udine si profilano (Firenze, Edizioni di “Solaria”, 1934) come dei testi di finzione, maggiormente protetti da critiche ideologiche. Il Diario di Caporetto fu edito solo nel 1991.
Remarque5. Nell’ambito nazionale, oltre ai nuovi titoli, i “classici” della memorialistica italiana anteriore vengono quasi tutti ristampati e provvisti di una seconda premessa, quasi fosse necessario ridefinire il valore estetico e/o pedagogico del testo, giustificandone la presenza in un clima culturalmente e ideologicamente cambiato. 1. La scrittura “a caldo”
Per quanto riguarda il primo periodo, gli autori maggiormente conosciuti sono Soffici,
Jahier (ambedue legati alla voce derobertisiana), e il primo Malaparte. Il taccuino di Serra venne pubblicato (e censurato) da Luigi Ambrosini dopo la morte dell’autore e L’alcova d’acciaio di Marinetti è rimasta poco conosciuta. A questi autori, ormai celebri, vanno aggiunti alcuni nomi meno conosciuti al lettore di oggi. Un successo notevole ebbe Introduzione alla vita mediocre (1920) dello scrittore Arturo. Proprio a causa delsuccesso commerciale, il libro viene spesso incluso nella memorialistica letteraria. Lo stesso vale per figure come Paolo Monelli, Attilio Frescura e Carlo Salsa, giornalisti, romanzieri e professionisti attivi alla periferia di una letteratura di cui solo il centro sembra esser sopravvissuto all’oblio.
Tutto questo ci fa individuare nei diari e nelle memorie scritti “a caldo” il tentativo di
tracciare un nuovo profilo dell’intellettuale. Si vuole creare un nuovo spazio per lo scrittore, il quale ambisce ad un ruolo più moderno e socialmente più cospicuo. In quest’ottica sono state certamente rilevanti le prime esperienze degli intellettuali arruolati, dopo la rotta di Caporetto nell’autunno 19176, nei servizi di propaganda e nelle redazioni dei giornali di trincea. Inoltre, migliaia di ufficiali volontari a contatto con le masse di contadini e operai, analfabeti o poco letterati, dei quali erano responsabili, hanno avverito per se stessi una nuova funzione da intellettuali.
Il successo della letteratura di guerra in questo primo periodo si può interpretare come
un sintomo della volontà di dare una dimensione socialmente più immediata alla letteratura. Così si spiega il successo del nuovo genere, facile, vicino alla realtà vissuta da tanti ex-combattenti e allo stesso tempo legato al dibattito sulla guerra, che avrebbe stigmatizzato la società italiana fin oltre il 1930. Come negli altri paesi coinvolti nel conflitto si è tentato anche in Italia di dare un senso al sacrificio di tanti giovani, morti in trincea, sul mare o sui ghiacciai dell’alta montagna. Si pensi al nazionalismo tradizionale e irredentista che traspare dall’avventura fiumana, al culto della violenza, tipico del fascismo nascente, alla stessa Marcia su Roma, presentata come il compimento finale della battaglia di Vittorio Veneto. Anche il campo comunista fonda le sue esigenze sulle dure prove, sostenute durante la guerra da tanti contadini e operai. Si assiste quindi ad un massiccio recupero ideologico della grande guerra da parte di fazioni di destra e di sinistra, le quali cercano tutte di delimitare in un modo più nitido la loro posizione ideologica.
A parte le ragioni ideologiche suddette, sono anche fondamentali alcune considerazioni
di ordine letterario: la preferenza per la prima persona e per il profilo autobiografico, per esempio fu tutt’altro che occasionale. Per autori di guerra come Marinetti, Soffici, Serra,
5 La scoperta di Hemingway è legata all’interesse per la letteratura americana negli anni trenta. Vedi U. MORRA, A farewell to Arms, di Ernest Hemingway, in “Solaria”, 1930, n. 2; il romanzo del 1929 fu pubblicato in italiano solo nel 1946 (E. HEMINGWAY, Addio alle armi, (trad. G. FERRATA et al. ), s.l., Club degli Editori, 1946. Il romanzo di Remarque fu tradotto nel 1931. (E. M. REMARQUE, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Milano, Mondadori, 1931). 6 Si pensi ai casi di Jahier e Soffici.
Jahier, Prezzolini è stato importantissimo il dibattito culturale del periodo precedente la guerra. Tutti parteciparono attivamente a riviste culturali come “Lacerba” e “La Voce”, dalla quale era partito uno stimolo importante per l’autobiografia. Anche lo statuto dell’arte nella società era stato ampiamente discusso: fu proprio il dibattito sull’impegno nell’arte che provocò la scissione di Lacerba nel 1914 e la sostituzione di Prezzolini come capo redattore con De Robertis, il quale aderiva alla linea autonomista.
Infine, le posizioni prese dai letterati durante il 1914-1915 - anno della lotta tra
interventisti e neutralisti - e gli antagonismi che ne risultarono, influiranno non soltanto sull’ideologia, ma anche sulla fisionomia degli scritti memorialistici. Tra l’oratoria classicheggiante e la lingua poetica del D’Annunzio, lo sperimentalismo futurista e l’autobiografia vociana, vinse chiaramente l’ultima. Non poté però rimanere intatta in mezzo alle forze centripete e uscì dalla guerra una forma ibrida, frutto di una compenetrazione di stili e correnti. Gran parte dell’intimismo e dell’intellettualismo vociani spariscono dopo il conflitto per far posto ad un io narrante strettamente connesso alla sua posizione nella gerarchia militare e all’introduzione dei luoghi, oggetti, procedure e riti tipici della guerra. Non è nemmeno trascurabile l’influsso di Marinetti, il quale fu in un certo senso il padre della memorialistica7 novecentesca e ha intriso del suo sperimentalismo gran parte dei testi presi in esame, anche se l’influsso del futurismo non è mai stato predominante.
La prevalenza dell’autobiografia nella sua forma più esplicita eclissa altri generi, brevi,
come la novella8, o più elaborati come il romanzo. Non esiste in Italia, rispetto ad altri paesi europei, nessun grande romanzo di guerra che abbia goduto un successo paragonabile a quello del romanzo di Remarque. Tutt’al più, la guerra svolge una parte più o meno importante in un insieme spazio-temporale più comprensivo. Il romanzo più conosciuto è Rubè di G.A. Borgese9, un affresco abbastanza tradizionale dell’intera società del periodo attorno alla Grande Guerra. Nell’ambito della poesia va menzionata la poesia sotto forma diaristica del Porto Sepolto ungarettiano10. 2. Gli anni trenta
Il successo della letteratura di guerra negli anni trenta, e specialmente tra il 1930 e il
1934, è dovuto a fattori diversi: in primo luogo è stato notevole l’influsso della cultura ufficiale, la quale volle plasmare e uniformizzare la memoria collettiva sulla Grande Guerra, in particolare nell’ambito storico. Direttamente legata alla prima guerra è la Collezione italiana di diari, memorie, studi e documenti per servire alla storia della guerra del mondo, diretta da Angelo Gatti. Anche l’Enciclopedia Italiana contribuisce alla chiusura del dibattito sulla prima guerra. Infine escono in questo periodo l’antologia Momenti della vita di guerra dell’Omodeo11, come anche la prima monografia sulla letteratura di Guerra12.
7 Il testo La battaglia di Tripoli (26 ottobre 1911) vissuta e cantata da F.T. Marinetti (in “L’intransigeant”, 25-31 dicembre 1911) fu la prima testimonianza letteraria, scritta in prima persona, sulle guerre italiane del ‘900. 8 Si pensi al De Roberto di Al rombo del cannone (Milano, Treves, 1919) o ad alcune novelle di Federigo Tozzi (vedi M. MARCHI, Federigo Tozzi, in Storia letteraria d’Italia, Il Novecento cur. A. BALDUINO, G. LUZI), Vol. I, cit., p.383 9 G.A. BORGESE, Rubè, Milano, Treves, 1921. 10 G. UNGARETTI, Il porto sepolto, Udine, Stab. Tip. Friulano, 1916. 11 A. OMODEO, Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle lettere dei caduti 1915-1918 (cur. A. GALANTE GARRONE), Torino, Einaudi, 1968 12 F. FORMIGARI, La letteratura di guerra in Italia, 1915-1935, Roma, Istituto nazionale Fascista di Cultura, 1935.
Alle origini della seconda ondata si trova la minaccia di una nuova guerra, ma fu
altrettanto importante lo forzo del regime fascista per guadagnarsi il consenso delle diverse fazioni socio-politiche. Questo profilo politico sembra rendere meno interessante per gli scrittori maggiori la letteratura di guerra. Infatti, la seconda ondata sembra molto meno diversificata rispetto alla massa di testimonianze scritte “a caldo”. Nondimeno ritroviamo, tra decine di scrittori oscuri, alcuni autori giovani e promettenti: Giani Stuparich, Giovanni Comisso e Luigi Bartolini. Dietro le parvenze di una scrittura realistica e “pubblica”, suggerita dal tema della guerra, si nasconde spesso una fuga dalle forme più esplicite dell’ideologia e dalle realtà stereotipiche che esse presuppongono. Rispetto ai diari e le memorie, scritti “a caldo”, colpisce la frequente interiorizzazione degli avvenimenti, più palese nel tema della memoria. Per Stuparich, l’intimismo è legato ai sentimenti per il fratello combattente e alla nostalgia provocata dal ritorno ai luoghi della gioventù. Se l’autore triestino di Guerra del ‘15, per molti aspetti, rimane fedele al suo interventismo classico e irredentista, Comisso respinge sin dall’inizio qualsiasi lettura nazionalista o militarista. In Giorni di guerra la struttura monolitica ed organica dell’esercito in guerra, sottolineata da tanti altri autori, viene smontata e saranno i singoli elementi (soldati, bombardamenti, tecnica, natura) a far scattare l’impressionismo sensitivo e edonistico comissiani.
Un caso a parte è Un anno Sull’Altipiano (1938) di Emilio Lussu, perché opera di un
autore fuoruscito in Francia, il quale, nel ’26, era evaso dal confino di Lipari per non mettere più piede in Italia fino al 1943. In Italia, il successo del libro si avrà solo dopo la pubblicazione da Einaudi nel 1945. Un secondo motivo per la posizione eccezionale di Un anno sull’Altipiano è la posizione politica dell’autore: Lussu è uno dei dirigenti dell’opposizione di sinistra legata a “Giustizia e Libertà”. Le sue prime tre opere (La Catena, Marcia su Roma e Dintorni e Un anno sull’Altipiano) sono concepite come una storia autobiografica del fascismo nascente. Il “ciclo” compie un’operazione mnemonica a ritroso durante la quale l’autore si allontana progressivamente dalla realtà in cui vive, tanto dal punto di vista puramente temporale quanto dal punto di vista ideologico. In Un anno sull’Altipiano la distanziazione dal presente sembra aver raggiunto un punto critico durante il quale vengono sottoposte ad un’indagine le stesse radici dell’impegno politico dell’autore. L’ufficiale Lussu partecipò alla guerra come interventista democratico; solo nel dopoguerra è iniziata la sua carriera da leader comunista13. Nel libro, passato e presente dell’autore interagiscono in un confronto dialettico continuo. Inoltre, l’allontanarsi dall’impegno concreto (Un anno sull’Altipiano fu scritto durante la cura in un ospedale svizzero)sembra permettere all’autore di dare una certa consistenza letteraria alla sua opera. 3. Alcuni parametri
Anche se la memorialistica è un insieme molto eterogeneo di testi, l’argomento comune
della Grande Guerra offre dei parametri rilevanti proprio perché vengono concretizzati ogni volta in un modo diverso all’interno dei singoli testi. I parametri - per quanto siano fluttuanti - fungono, in un certo senso, da tratti distintivi minimali. Nessuno dei tratti è tipico della sola memorialistica; è piuttosto la combinazione delle caratteristiche che forma lo scheletro del genere preso in esame. La realizzazione concreta di ognuno dei parametri spinge l’interpre-tazione in una direzione particolare, sia al livello ideologico, sia al livello puramente
13 La carriera politica di Lussu si sviluppa dal 1919 all’interno del Partito Sardo d’Azione, un partito tra comunista e repubblicano, sorto dal movimento degli ex-combattenti della “Brigata Sassari”, della quale Lussu era capitano. Vedi E. LUSSU, La Brigata Sassari e il Partito Sardo d’Azione, in “Il Ponte”, 1951, n.9-10, pp. 1076-1084.
letterario. Va tuttavia sottolineata la precarietà delle frontiere tra le ideologie nel periodo tra le due guerre. Sintomatico è il caso di Viva Caporetto! di Malaparte: non manca molto perché l’io narrante di questa testimonianza in forma trattatistica del 1921 si confessi apertamente comunista. Ciononostante la “postilla” del 1923 e il cambiamento del titolo ne La rivolta dei santi benedetti (il sottotitolo del ‘21) trasformano il testo di colpo in un documento di stampo esplicitamente fascista.
1. Un primo elemento ricorrente è la scansione del tempo della guerra in episodi più o
meno brevi. Sembra che gli autori si trovino confrontati all’impossibilità di raccontare “tutta la guerra”. La scelta dell’episodio narrato varia tra due poli: o ci si sofferma su un’operazione militare precisa, o si tenta di giustapporre una serie di eventi interessanti, legandoli sommariamente tra di loro. La struttura dei diari di guerra sofficiani si impernia sul primo modello: nel caso di Kobilek, i brani diaristici ricostruiscono in un movimento ascendente la conquista del monte omonimo. Da un punto di vista ideologico, questa scelta, già presente nel titolo, dà all’opera la sua funzione esemplare positiva. Da un punto di vista storico - letterario, questa scelta rispecchia la resistenza sofficiana al frammento: l’autore sembra voler salvaguardare la compattezza e la continuità del racconto. Questa tendenza si nota anche all’interno del diario: i brani diaristici si allungano progressivamente, a tal punto che il lettore alla fine ha l’impressione che quel che era all’inizio un diario, si sia trasformato in un vero romanzo. La ritirata del Friuli, il secondo diario sofficiano, presenta, sin dal titolo, la stessa struttura teleologica; a prescindere dal fatto che il periodo prescelto (la rotta di Caporetto e la ritirata dell’esercito italiano dall’Isonzo al Piave) funge da esempio ex negativo.
Una soluzione intermedia è adottata da Emilio Lussu: in Un anno sull’Altipiano, narra
gli eventi vissuti sull’Altipiano di Asiago durante il 1916-1917, anno che occupa una posizione centrale nel periodo bellico italiano. La scelta non è casuale ma rientra nello schema ripetitivo che permea tutte le articolazioni del racconto e che concretizza la condanna autoriale del modo in cui il conflitto fu condotto. In un ottica letteraria, le strutture ripetitive plurilivellari generano il profondo senso dell’assurdo che emana dalla testimonianza di Lussu. Infatti, si ha l’impressione che la guerra con il suo susseguirsi di campi di battaglia (presente nella macrostruttura), e con gli attacchi e contrattacchi (presente nella successione dei capitoli), potrebbe durare per sempre.
Sono numerosissimi i testi che raccontano i momenti culminanti attraverso tutto il
periodo di guerra. Un esempio tipico è Il libro di un teppista di Ottone Rosai, il pittore d’avanguardia fiorentino. Il carattere poco lavorato dei frammenti diaristici e la successione di episodi più o meno eroici rientrano nel culto della ribellione e della violenza dell’autore “teppista”. Originariamente, il teppismo era una delle tante dottrine artistiche vicine al futurismo dell’avanguardia fiorentina; nondimeno il culto della violenza oltrepassa i limiti della letteratura ed ha delle connotazioni ideologiche molto precise se considerato in relazione con l’origine delle milizie fasciste.
2. La difficoltà di scegliere gli episodi più interessanti tra la massa di anedotti va messa
in rapporto con il carattere frammentario della struttura formale del testo, tipico della memorialistica e di gran parte della prosa narrativa italiana del periodo tra le due guerre. La tensione tra frammento e globalità all’interno della memorialistica degli anni venti e trenta illustra la sperimentazione genuina e l’autenticità letteraria nel genere. In linea di massima, si assiste ad una riduzione del frammentarismo verso gli anni trenta. Che questa evoluzione non sia soltanto dovuta alla distanza temporale divenuta maggiore e al sostituirsi progressivo delle memorie ai diari, ma che entri in gioco anche un fattore di natura poeticale viene
dimostrato dalla rielaborazione de Il libro di un teppista di Rosai: in Dentro la guerra, le stesse avventure vengono inserite in un impianto narrativo “normalizzato”, vale a dire più continuo e scritto in un italiano più standardizzato.
3. L’io narrante e l’io personaggio costituiscono dei punti nevralgici in quasi tutti i testi
studiati: dai rapporti che intrattengono tra di loro e con gli altri elementi della narrazione scaturiscono altrettanti parametri di ricerca. Nel caso delle memorie in particolare, ma anche nei diari, la distanza tra io narrante e io personaggio è fondamentale. Questo rapporto è problematico nel caso di un autore come Lussu, l’interventismo del quale stava vacillando proprio a causa delle esperienze vissute in prima linea. Il distacco dell’io narrante restituisce valore al giudizio e alla percezione del singolo (e a fortiori dell’intellettuale) di fronte alla forza uniformizzante della retorica e della disciplina militari. Il capitolo XXV sembra costituire un passo obbligatorio per la critica proprio perché vi è molto appariscente la tensione prodotta dal contrasto tra l’impegno democratico-interventista del Lussu-ufficiale e le convinzioni marxiste dell’autore quarantacinquenne: l’io narrante si distanzia dall’io personaggio interventista chiamandolo “il comandante della decima compagnia” (invece che “io”) nel dialogo con il tenente Ottolenghi, il quale rappresenta le convinzioni marxiste dell’autore.
A volte, il distacco tra presente e passato permette delle deviazioni dalla retorica
militarista e diventa presa in giro ironica del sacro eroismo dei tempi di guerra:
“Anche adesso, a tanti anni di distanza di tempo, mentre il nostro amor proprio per un processo psicologico involontario, mette in rilievo, del passato, solo i sentimenti che ci sembrano i più nobili e accantona gli altri, io ricordo l’idea dominante di quei primi momenti. Più che un’idea, una spinta istintiva: salvarsi! (p. 41) 14
Questa distanza e questa ironia sono assenti nei diari di Soffici, dove l’io narrante si
schiera senza riserve dietro i pensieri e le azioni dell’io - personaggio. In Kobilek non viene negato lo sfasamento dei sensi durante i bombardamenti. La reazione del personaggio Soffici è tuttavia diametralmente opposta a quella di Lussu:
Non saprei dire quanto tempo restammo in quell’attesa di un colpo che ci sfracellasse, e mettesse fine alla nostra agonia. So invece che a un certo punto i nostri spiriti si sollevarono d’improvviso, come se avessimo superato il limite massimo di un’angoscia istintiva, e una gaia serenità si diffuse fra noi. [.] Tirammo fuori, chi la sigaretta, chi la pipa, e ci mettemmo a fumare e a motteggiare. [.] Se un giorno io dovessi ricevere un premio attestante il mio coraggio, vorrei che non si parlasse né di fatiche, né di pericoli affrontati, ma si scrivesse solo questo: “Fu allegro nella trincea del Kobilek” (pp. 173-174)15
4. Non è soltanto aproblematico il rapporto tra io narrante e io-personaggio; ma anche
quello tra l’io e gli altri: la citazione precedente illustra come Soffici e i suoi soldati, pronti al sacrificio della loro vita, superano insieme la paura istintiva, dopodiché la guerra diventa allegra e festosa. Non si tratta della guerra - festa marinettiana, tecnologica, bensì di quella popolare e contadina. Sembra spegnersi nei diari di guerra l’effimero avanguardismo sofficiano. Il contatto con il popolo contadino - che non era nuovo per il Soffici del 1918 - è inoltre significativo nella prospettiva della militanza futura di questi nel movimento “Strapaese”.
14 Le citazioni riguardo a Lussu provengono da: E. LUSSU, Un anno sull’Altipiano, Torino, Einaudi, 1945 (14a ristampa, 1997) 15 Le citazioni riguardo a Soffici provengono da: A. SOFFICI, I diari della grande guerra. Kobilek. La Ritirata del Friuli. Taccuini inediti (cur. M. BARTOLETTI POGGI & M. BIONDI, Firenze, Vallecchi, 1986.
Non è dunque soltanto organico in Soffici il rapporto tra io narrante e io personaggio,
anche la comunicazione con i soldati, con i propri superiori e con gli amici ufficiali è sostanzialmente aproblematica. Frequentissime sono le “affinità di intelligenza” e le “comunioni di spirito” (p. 82), specie tra corregionali. L’importanza dell’aspetto regionale si evince chiaramente dal giudizio sul soldato meridionale, nei confronti del quale l’io narrante sembra essere più severo. Non stupisce se, tra le poche tracce delle lingue regionali, spiccano i tratti meridionali. Il concentramento sulle varianti regionali è più forte ne Le scarpe al sole di Paolo Monelli. Questo diario mette in rilievo la lingua parlata degli alpini come segno esteriore della sincerità e della naturalezza di questi giovani montanari.
Che le modalità della comunicazione siano fondamentali per interpretare i testi di
memorialistica, risulta chiaro da un paragone tra la comunicazione naturale, istintiva e regionale in Soffici da una parte, e l’incomunicabilità che traspare dalla testimonianza di Lussu dall’altra. In Un anno sull’Altipiano, la condanna della violenza e della ferrea disciplina si traduce nel mutismo, nello stordimento e nell’abbrutimento degli uomini, ridotti a degli automi. La spontaneità e la comunicazione sono soltanto possibili nei i momenti di riposo. Inoltre, le connotazioni regionali, di natura linguistica o altra, sono quasi assenti nellla testimonianza di Lussu, politico internazionalista, il quale scrisse il suo libro inizialmente per un pubblico straniero16. E’ ovvio che per ambedue gli autori il testo di memorialistica deve riempire un’importante funzione ideologica, oltre a quella estetica.
Per Comisso invece, l’equilibrio tra funzione estetica e funzione ideologica va
invertito. Questo è visibile anche al livello della comunicazione. I compagni sono spesso ridotti a degli oggetti e la loro funzione è soprattutto di alimentare la voluttà sensitiva, a volte erotica, dell’io personaggio:
Dormimmo nella stalla e [.] scorsi poco lontano due degli allievi ufficiali, le gambe dell’uno fra quelle dell’altro, reclinate le teste leggere nel respiro dell’ultimo sonno. Mi avvicinai a spiare tra la camicia aperta sul petto la loro carne bianchissima che l’alba illuminava come un fiore (p. 146).
Molto moderno in Giorni di Guerra è l’assurdo che scaturisce dalla disfunzione dei
mezzi della comunicazione: l’io-personaggio è addetto alle comunicazioni telefoniche durante la rotta di Caporetto. Benché l’offensiva fosse prevista dallo stato maggiore, le linee si imbrogliano, i superiori non danno retta alle poche informazioni affidabili che Comisso riesce a cavare da tanta confusione e l’operatore finisce con l’avere il nemico in linea: -“Pronto. / - Pronto. - mi rispose una voce fresca e calma. - Parlo con Italia? - e scomparve.” (p. 11317)
5. La percezione della propria posizione nelle strutture dell’esercito e nei piani rigidi
delle operazioni belliche costituisce un altro aspetto tipico dei memorialisti, pertinente sia dal punto di vista poeticale, sia alla luce delle lotte ideologiche del periodo tra le due guerre. Raramente, le strutture militari vengono accettate nella loro forma burocratica più rigida, neanche dagli autori meno critici verso l’integrazione della propria personalità nel corpo organico dell’esercito. E’ sempre presente la volontà di usare le proprie capacità organizzative e intellettuali per contribuire ad un funzionamento migliore del proprio reparto. Il tenente Soffici de La ritirata del Friuli, per esempio, si schiera politicamente dalla parte del generale Cadorna e si sente per questo costretto a criticare certi suoi superiori. Allo stesso
16 L’edizione parigina fu subito seguita da una traduzione in inglese: E. LUSSU, Sardinian Brigade, Harrisburg (Pa.), Giniger Book, 1939. 17 Le citazioni da Giorni di guerra si riferiscono all’edizione del ’31.
modo va giudicato l’eroismo di Rosai, il quale, pur essendo militarista, trasgredisce continuamente le regole della disciplina, dando sfogo alla sua energia e spontaneità personali. Il contrasto crescente tra la depersonalizzazione che deriva dalla logica bellica e la responsabilità dell’individuo viene tematizzato esplicitamente in Un anno sull’Altipiano, quando l’ufficiale Lussu tiene nel mirino un suo omologo austriaco:
Io facevo la guerra fin dall’inizio. Far la guerra, per anni, significa acquistare abitudini e mentalità di guerra [.] Io non vedevo un uomo. Vedevo solamente il nemico [.] No. Non v’era dubbio, io avevo il dovere di tirare. E intanto non tiravo [.] Cominciai a pensare che, forse, non avrei tirato. Pensavo. [.] Non so fino a che punto il mio pensiero procedesse logico. Certo è che avevo abbassato il fucile e non sparavo. In me s’erano formate due coscienze, due individualità, una ostile all’altra. Dicevo a me stesso: “Eh! non sarai tu che ucciderai un uomo, cosí (pp. 136-138, mie le sottolineature)
La volontà di mettere a profitto in un modo più diretto le proprie capacità intellettuali
sta alla base di gran parte dei testi studiati, eccetto alcuni come Giorni di Guerra, in cui, messo tra parentesi il significato politico della guerra, questa diventa un’avventura eccezionale della quale si ignora il senso:
Neri, come di fumo, sporchi , stracciati, con fasciature spicciative alle mani o alla testa, sfiniti nel volto ma accesi di sangue alla bocca e di vita agli occhi, cercai di imprimerli nella memoria, perché ormai era certo che aspetti simili no sarebbe stato possibile rivedere più. Pareva che avessero impiegata tutta la loro forza per fare all’amore o per una corsa accanita e sorridevano pesantemente come se non sapevano essi stessi cosa avessero fatto e perché. (p. 214,mie le sottolineature)
6. Oltre a questi parametri meriterebbero di essere studiati anche altri elementi come lo
spazio, il quale può limitarsi alle pareti della trincea, ai reticolati nemici o addirittura estendersi fino alle cime innevate o alla pianura fertile da (ri)conquistare. Anche l’attenzione al mondo della tecnica, alle macchine, alla nuova funzionalità dell’uomo in confronto ad esse, all’inserimento di elementi provenienti da altri generi (come per esempio la storia d’amore) e molti altri approcci potrebbero fornire dei dati interessanti per capire perché tanti autori hanno voluto pubblicare la loro testimonianza sulla prima guerra mondiale in un modo così esplicitamente personale. 4. I testi più conosciuti18
R. SERRA, Diario di Trincea, in L. AMBROSINI, Racconti di guerra (maggio 1915 - novembre 1916), Torino, Lattes, 1917 / A. BALDINI, Nostro purgatorio, Milano, Treves, 1918 / A. SOFFICI, Kobilek, giornale di battaglia, Firenze, Libreria della Voce, 1918 / A. SOFFICI, La ritirata del Friuli. Note di un ufficiale della 2a armata, Firenze, Vallecchi, 1919 / A. FRESCURA, Diario di un imboscato, Vicenza, Galla, 1919 / O. ROSAI, Il libro di un teppista, Firenze, Vallecchi, 1919 / P. JAHIER, Con me e con gli alpini, Roma, La Voce, 1920 / A. STANGHELLINI, Introduzione alla vita mediocre, Pistoia, Nicolai, 1920 / P. MONELLI, Le scarpe al sole. Cronaca di gaie e di tristi avventure di alpini, di muli e di vino, Bologna, Cappelli, 1921 / C. MALAPARTE, Viva Caporetto!, Prato, Tip. Martini, 1921 (poi: La rivolta dei santi benedetti, 2a ed., Roma, “Rassegna Internazionale”, 1923) / F.T. MARINETTI, L’Alcova d’acciaio, Milano, Vitagliano, 1921 / C. SALSA, Trincee. Confidenze di un fante, Milano, Sonzogno 1924 / G. COMISSO, Giorni di Guerra, Milano - Verona, Mondadori, 1931 / G. STUPARICH, Guerra del ’15. Dal taccuino di un volontario, Milano, Treves, 1931 / O. ROSAI, Dentro la guerra, in “Vita Nuova”; 1932, nn. 2,3,4,5,6,7 (poi Roma, “Quaderni di Novissima”, 1934 / L. BARTOLINI, Il mio ritorno sul Carso, Milano - Verona, Mondadori, 1934 / E. LUSSU, Un anno sull’Altipiano, Parigi,
18 Per più informazioni, vedi M. BARTOLETTI, Memorialistica di guerra, cit.
Edizioni Italiane di Cultura, 1938 (poi Torino, Einaudi, 1945) / C.E. GADDA, Giornale di guerra e di prigionia, Firenze, Sansoni, 1955 (Edizione definitiva: Torino, Einaudi, 1965) / B. TECCHI, Baracca 15 C, Milano, Bompiani, 1961 / C.E. GADDA, Taccuino di Caporetto, Milano, Garzanti, 1991
MINUTES OF THE MEETING OF THE BOARD OF DIRECTORS OF THE FEDERAL RESERVE BANK OF KANSAS CITY HELD IN The meeting convened at 8:00 a.m. with Chairman Paul DeBruce presiding and the following Incoming First Vice President Alan D. Barkema Senior Vice President and Director of Research Denise I. Connor Senior Vice President Kevin L. Moore Senior Vice President Dawn B. Morhaus Senior Vice President