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I DIRITTI =MANI NELLA PROSPETTIVA TRANSNAZIONALE
I DIRITTI UMANI =ELLA PROSPETTIVA TRANSNAZIONALE Le giurisdizioni a contatto con la giurisprudenza della Corte europea dei =iritti dell’uomoRoma, Presidenza del Consiglio dei Ministri 20 aprile 2009 Pasquale de Lise Corte =uropea dei diritti dell’uomo e giudice amministrativo1. In questa relazione, dopo alcuni cenni ai rapporti tra Convenzione europea =ei
diritti dell’uomo e diritto interno e tra la giurisprudenza della =orte europea e quella
delle Corti nazionali, che sono necessari per impostare il =iscorso successivo, mi
soffermerò sulla giurisprudenza dei giudici =mministrativi (e in particolare del
Consiglio di Stato) in materia, sotto l’aspetto del =iritto processuale (ossia l’influenza
delle norme della Convenzione e della giurisprudenza della Corte sul processo
amministrativo: l’art.6 della Convenzione è sicuramente il parametro più citato nella
=iurisprudenza amministrativa) e sotto quello del diritto sostanziale (ossia gli
=nterventi del Consiglio di Stato, nell’ambito sia della sua giurisdizione generale =i
legittimità che della giurisdizione esclusiva, con riguardo a =ontroversie che, pur
attenendo a “diritti fondamentali”, sono comprese nella =iurisdizione amministrativa).
2. Il punto di partenza è costituito dalla definizione dei rapporti tra =a Convenzione
(diritto internazionale pattizio) e il diritto nazionale (costituzionale e ordinario) e della
rilevanza nel sistema nazionale =elle decisioni della Corte europea.
Anche se è contestato da una parte della dottrina che, nel =ichiamo alla
Convenzione contenuto nel trattato di Lisbona, vede una sorta di comunitarizzazione
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della Convenzione stessa, con la conseguente =quiparazione – o, addirittura,
sovraordinazione al diritto comunitario ai fini in =uestione, nella giurisprudenza della
Corte di Cassazione, ed anche in quella del =onsiglio di Stato, l’orientamento
prevalente è nel senso della esclusione sia =dell’efficacia diretta delle norme della
Convenzione europea che =ell’efficacia ergaomnes delle sentenze della Corte di
Tuttavia, l’esigenza di prestare osservanza alla Convenzione ed =lla sua
interpretazione fornita dalla Corte europea ha indotto la Cassazione a sottoporre la
questione alla Corte costituzionale, la quale, con le =otissime sentenze n. 348 e 349
del 2007 e con la successiva n. 129 del 2008, ha affermato i seguenti =rincìpi:
- impossibilità di configurare una copertura costituzionale delle norme della
=onvenzione attraverso gli artt. 10 e 11 Cost.: per il primo, perché esso va
=iferito solo alle norme consuetudinarie e non anche a quelle pattizie; per
l’altro, =erché non vi è stata alcuna limitazione di sovranità dello Stato per
=ffetto dell’adesione alla Convenzione;
- possibilità di considerare le norme della Convenzione come norme interposte
nei =iudizi di costituzionalità, sulla base del nuovo testo dell’art. 117, primo
=omma, Cost., e quindi prevalenti sulle norme nazionali ordinarie ma non anche
su =uelle costituzionali, con le quali le norme convenzionali debbono risultare
compatibili (nel rapporto di gerarchia delle fonti, le norme della =onvenzione
sono ascrivibili ad un rango intermedio tra le norme costituzionali e =uelle
- in conseguenza, a differenza dal diritto comunitario, con riguardo al =iritto
convenzionale non può parlarsi di disapplicazione del diritto interno =el caso di
contrasto, sia per la già rilevata impossibilità di configurare =na limitazione di
sovranità che per la mancanza del meccanismo del rinvio =pregiudiziale,
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elementi entrambi riscontrabili per il diritto =omunitario ma non per quello
- sussiste peraltro l’obbligo del giudice di procedere ad una interpretazione
“convenzionalmente” orientata o, comunque, ad una interpretazione
=93bilanciata” tra conformità a Costituzione e conformità a Convenzione,
tentando =i armonizzare le rispettive normative. E’ vero che, ex art. 101 =ost., i
giudici sono soggetti soltanto alla legge; tuttavia è consentita un’interpretazione
estensiva di tale norma in virtù del richiamo =ontenuto nell’art. 117 ai vincoli
derivanti (dall’ordinamento comunitario e) =al diritto internazionale. Qualora
questa operazione non dia esito positivo, ossia =el caso di riscontrata
inconciliabilità del diritto interno con il diritto =onvenzionale come applicato
dalla giurisprudenza della Corte, al giudice non resta =he sollevare la questione
di legittimità costituzionale delle norme =nterne, e la parola spetta quindi alla
Corte costituzionale e poi, eventualmente, al legislatore.
3. Ciò detto in via generale, passo a trattare dell’incidenza delle =isposizioni della
Convenzione e delle pronunce della Corte europea sul processo amministrativo.
Vorrei fare una premessa: fino alla L. cost. n. 2 del 1999, che =a novellato l’art.
111 Cost., il “giusto processo” nel nostro =rdinamento trovava il suo parametro di
riferimento nell’art. 6, par. 1, della =onvenzione. Con qualche problema, almeno
iniziale, di applicabilità di tale =isposizione, dettata espressamente per i diritti e le
obbligazioni di carattere =ivile (civil rights and obligations), al processo
amministrativo, dove =i tratta prevalentemente di controversie concernenti interessi
legittimi i =uali – per loro natura – si confrontano con il potere pubblico (la
=I>puissance publique) e quindi con l’attività autoritativa dell’Amministrazione.
Tuttavia, i dubbi, che pur erano stati prospettati, furono =bbastanza agevolmente
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superati, ritenendosi accomunate, nell’anzidetta =spressione, tutte le situazioni
giuridiche soggettive – indipendentemente dalla loro qualificazione negli ordinamenti
interni – cui è sotteso =’interesse del titolare ad un bene della vita, ad un’utilità in
senso economico =onsiderata dall’ordinamento meritevole di tutela (e quindi anche
l’interesse =egittimo, del quale non può negarsi una valenza anche economica, tanto
che la sua =esione è ormai pacificamente risarcibile).
La costituzionalizzazione delle regole del giusto processo, =ontenute nel
novellato art. 111, ha risolto ogni problema. Con due corollari: =nnanzitutto, il nuovo
testo costituisce espressione della complementarietà tra =orme della Costituzione e
norme della Convenzione; inoltre, in molti casi appare =on necessario il richiamo alla
disposizione della Convenzione in quanto il =uovo art. 111, nei primi due commi, da
un lato sancisce princìpi generali =irca l’equo svolgimento di qualsiasi processo, i
quali sono conformi =ll’art. 6 e, dall’altro, ha un contenuto forse più preciso dell’art.
6, laddove =ispone che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato
dalla =egge” (primo comma) e che “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle
=arti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La =egge ne
assicura la ragionevole durata” (secondo comma). In queste norme =’è tutto sul giusto
processo; anzi direi che, proprio per la sua portata generale, =’è di più rispetto all’art.
6, dal cui ambito di applicabilità si ritenevano =scluse, dalla giurisprudenza della
Corte, le controversie in materia fiscale, =uelle elettorali, nonché quelle concernenti
l’espulsione di stranieri o la =oncessione di asilo politico, in quanto riconducibili al
nocciolo duro delle =rerogative di puissance publique.
Tuttavia, l’importanza dell’art. 6 in relazione ai nostri processi sta, più che nel
=uo contenuto, nella specificazione dei princìpi da esso dettati e nella =oro
interpretazione ad opera della giurisprudenza della Corte europea, cui i giudici
nazionali sono =enuti a prestare osservanza nei limiti di cui si è =etto.
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3.1. Passo ora ad esaminare alcuni aspetti del giusto processo amministrativo.
Il primo, di carattere generale, attiene alla garanzia di =mparzialità e di
Con riguardo agli ordinamenti – come quello francese, italiano = di altri Paesi dell’Europa occidentale - si è posto il problema della =oesistenza, nel Consiglio di Stato, della funzione consultiva accanto a quella giurisdizionale.
La Corte europea si è occupata in più occasioni di tale =uestione: con la
decisione sul caso Procola del 1995, relativamente al Consiglio =i Stato del
Lussemburgo, ha affermato il difetto di imparzialità in quanto =uattro membri su
cinque del collegio giudicante avevano partecipato =ll’attività consultiva in ordine al
provvedimento oggetto della controversia; con la =ecisione Kleyn del 2003,
concernente il Consiglio di =tato olandese, si è limitata a rilevare la non coincidenza
delle questioni =ottoposte al Consiglio rispettivamente in sede consultiva e
giurisdizionale; =nfine, con la decisione Sacilor Lormines, del =st1:metricconverter
ProductID="2006, ha" w:st="on">2006, ha =scluso che il Conseil d’Etat francese non
sia un giudice indipendente e =mparziale, sia quanto allo “statuto” dei magistrati (in
particolare per la nomina =93esterna” di una parte di essi) che per il cumulo di
funzioni giurisdizionali con =unzioni amministrative in un unico organo.
Tenuto conto della motivazione delle decisioni, deve escludersi =he la Corte
ritenga illegittimo, in via generale, il cumulo di funzioni, =onsultive e giurisdizionali,
in capo al medesimo organo e deve ritenersi che essa =onsideri, piuttosto,
configurabile un vizio di carattere strutturale, in relazione =lla composizione del
collegio giudicante in particolari fattispecie.
Tale conclusione è coerente con la consolidata tradizione del nostro Paese =96
come di altri Paesi europei - che individua nel Consiglio di Stato la massima
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espressione della legalità dell’azione amministrativa, attuata non =olo mediante
l’esercizio della funzione giurisdizionale ma anche attraverso =’apporto dell’attività
consultiva, come solennemente affermato nell’art. =00, primo comma, della
Costituzione. A questo riguardo va ricordato che il =onsiglio di Stato italiano,
attraverso la Sezione consultiva per gli atti normativi, =assicura la qualità della
normazione che, nell’ottica della =onvenzione, costituisce una garanzia dell’individuo
contro gli abusi =ell’Autorità pubblica.
Del resto, l’ampiezza dell’organico del Consiglio di Stato =taliano (come di
quello francese), rispetto a quelli lussemburghese e olandese, la prassi sempre seguita
nella =composizione dei collegi giudicanti, nonché i rimedi – di chiusura =96
dell’astensione e della ricusazione, sono tali da evitare qualsiasi =ommistione di
funzioni e di garantire la piena imparzialità del giudice.
3.2. In materia di imparzialità del giudice va richiamata una recente =ecisione
dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (25 marzo 2009, n. 2) la =uale,
rifacendosi agli orientamenti espressi in casi analoghi dalla Corte costituzionale e
dalla Corte di Cassazione, ha affermato che il =rincipio di imparzialità-terzietà impone
che il giudice (persona fisica) del =iudizio di rinvio debba essere diverso da quello che
ha emanato la precedente =entenza annullata con rinvio (con l’occasione, l’Adunanza
plenaria ha =itenuto che il medesimo principio sia applicabile alla revocazione, ma ha
escluso che =o sia all’opposizione di terzo).
3.3. Quanto alla previsione di termini di decadenza per l’impugnazione di
=rovvedimenti amministrativi, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha precisato
=ome sia diritto degli Stati aderenti prevedere norme di procedura la cui inosservanza
possa comportare una mancata pronuncia sul merito della =retesa, purchè tali norme
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siano dirette a soddisfare esigenze di corretta =rganizzazione processuale (e quindi
uno scopo legittimo) e non svuotino il diritto di =ccesso al giudice previsto dalla
Convenzione (accertato secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità). Che è
quanto accade =ell’ordinamento italiano, dove l’obbligo di notificare il ricorso che
introduce il =iudizio amministrativo entro termini perentori, sia alla p.a. che ai
soggetti controinteressati, risponde tanto ad esigenze di certezza dei rapporti =iuridici
(aventi ad oggetto l’esercizio della funzione pubblica) quanto alla =ffettività
dell’esercizio del diritto di difesa di questi ultimi (cfr. =ons. St., Sez. IV, 22 giugno
Proprio in applicazione di tali princìpi non sembrano conformi all’art. 6 =ella
Convenzione (ma neanche all’art.111 Cost. e alla normativa =omunitaria) le
disposizioni contenute nell’art.20, comma 8, del recente D.L. n. 185 =el 2008,
convertito in legge, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009 (il c.d. =ecreto anticrisi),
con le quali sono stati previsti termini estremamente =istretti sia per la proposizione
del ricorso che per la difesa delle parti resistenti.
Inoltre, si può porre il =ubbio di compatibilità con l’art. 6 della Convenzione
dell’orientamento =iurisprudenziale che impone i c.d. ricorsi al =uio laddove fa
decorrere il termine di 60 giorni dalla conoscenza =ell’esito lesivo piuttosto che dalla
cognizione della motivazione del provvedimento. Solo =a conoscenza della
motivazione consente, infatti, la percezione compiuta =ei vizi dell’atto e
l’articolazione consapevole dei motivi di gravame, =vitando l’irragionevole onere di
proporre iniziative giudiziarie =nvolontariamente temerarie.
Qualche dubbio va poi =spresso con riferimento alla compatibilità con la
Convenzione della c.d. =regiudizialità amministrativa.
La tesi che impone la =revia impugnazione del provvedimento, a pena di
inammissibilità della =omanda risarcitoria autonoma, costringe al rispetto del termine
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di decadenza =nche nel caso in cui l’impugnazione e l’annullamento del
provvedimento non =iano idonei ad evitare o limitare il danno ex art. 1227, secondo
comma, cod. civ. =si pensi al caso in cui il provvedimento impugnato abbia già avuto
completa =secuzione al momento del ricorso o a quelli in cui la legge esclude una
tutela =pecifica ed ammette solo il risarcimento per equivalente).
In tali evenienze la =revisione di una, peraltro non contemplata, forca caudina
processuale aggrava irragionevolmente la posizione del ricorrente senza che venga in
rilievo =l’esigenza di conservazione di un provvedimento, ormai intangibile.
Ci si deve, infine, chiedere se sia compatibile con i principi =ella Convenzione,
oltre che con quelli comunitari e costituzionali, =’impostazione tradizionale che non
ammette nel processo amministrativo la tutela di accertamento della fondatezza della
I princìpi della Convenzione, segnatamente in tema di pienezza =d immediatezza
della tutela giurisdizionale, impongono di allargare =’orizzonte evitando defatiganti
pronunce di mero annullamento e consentendo un =iudizio di accertamento della piena
fondatezza della pretesa sostanziale, quante =olte non vi osti la riserva del potere
discrezionale dell’Amministrazione. Si =ratta, in sostanza, di abbracciare un modello
processuale che consenta al giudice amministrativo di emanare pronunce che, invece
di dare torto all’amministrazione, diano ragione al privato definendo au fond la res controversa (un importante passo in =uesta direzione è stato compiuto dal Cons. Stato,
Sez. VI, 9 febbraio 2009, =. 717, che, in tema di DIA, ha ritenuto che il giudice
amministrativo possa emanare una sentenza di accertamento che ordini
all’Amministrazione di rimuovere gli effetti dell’attività illegittimamente compiuta, in
tal modo ammettendo =’esperibilità, anche nel processo amministrativo, di un’azione
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3.4. Un aspetto del processo amministrativo che assume particolare rilevanza ai
=ini in esame è quello dell’istruzione, perché con riguardo ad essa si è manifestata, in
passato, una notevole =isparità tra le parti e quindi la pretermissione del principio
A differenza dal “processo da =itazione”, quale è il processo civile, in cui si ha una sostanziale parità tra le parti, per =ui ciascuna di esse è in grado di apportare a dimostrazione delle proprie =affermazioni di fatto gli elementi della realtà extraprocessuale =itenuti necessari, nel “processo da ricorso”, quale è il processo =mministrativo, le parti versano in una posizione di non equivalenza, per cui, fatte salve =lcune limitate ipotesi, la =ossibilità per il ricorrente di dare la dimostrazione della sua pretesa risulta =ortemente ostacolata poiché essa si fonda spesso su fatti o atti interni all’amministrazione. Il che deriva dalla posizione di materiale, anzi =i istituzionale, inferiorità del privato nei confronti =ell’amministrazione (BENVENUTI).
A questo inconveniente si è tentato di rimediare nel senso che, ferma
=’applicabilità al processo amministrativo del principio dispositivo (espressione della
sua =atura di processo di parti e non di diritto oggettivo), in esso il ricorrente =E8
tenuto ad introdurre i fatti, ma non è anche tenuto rigorosamente a fornirne =a prova o
a indicare il relativo mezzo probatorio.
Il principio dell’onere della prova si configura come onere di =ntroduzione (ossia
di indicazione) dei fatti nel processo; esso si attenua e diviene onere =el principio di
prova, per cui il carattere dispositivo è temperato dal =etodo acquisitivo, in virtù del
quale il giudice ha il potere di addossare l’incombente istruttorio alla parte che egli
ritiene avere la =ossibilità di darvi corso. Ciò al fine di realizzare tra le parti la
situazione di =arità ab origine mancante, =ttribuendo ad esse una uguale possibilità di
contribuire alla decisione, così =opperendo alle possibili deficienze di quello che è il
nucleo centrale del processo, =l contraddittorio, che potrebbe essere pregiudicato
proprio dalla =osizione di disparità delle parti stesse.
Nel processo amministrativo, proprio per lo stato di =isuguaglianza delle parti al di fuori di esso, è il giudice che, per eliminare la =ondizione di svantaggio del ricorrente, ha il potere di invertire o modificare =’onere della prova al fine di consentirne ad entrambe le parti l’adempimento.
Deve peraltro rilevarsi come la situazione di inferiorità del privato nei =onfronti
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della p.a. al di fuori del processo, che ripercuoteva i suoi effetti =ll’interno dello
stesso nei sensi anzidetti, si vada attenuando, nella prospettiva =el diritto
amministrativo paritario o del diritto mite, che si è andata =oi realizzando attraverso il
sincronico operare di una serie di strumenti giuridici, tanto in seno al procedimento
amministrativo, quali =’obbligo di adozione del provvedimento espresso in un termine
prestabilito, quello =i comunicazione dell’avvio del procedimento, quello di valutare le
=emorie e i documenti presentati dall’interessato, quanto al di fuori di esso, con
=l’estensione dei moduli convenzionali nell’esercizio =ell’attività amministrativa.
A questo riguardo va posto in =uce come anche la consacrazione di alcuni
princìpi come quello della =rasparenza attraverso l’accesso ai documenti
amministrativi, determinando =’inversione della regola della segretezza in favore della
pubblicità degli atti =ella p.a., abbia contribuito all’opera di bilanciamento della
condizione dei =rivati nei confronti dei soggetti pubblici, con ovvi riflessi all’interno
del =rocesso dinanzi al giudice amministrativo anche per quanto attiene al profilo
Quasi vent’anni di applicazione delle =orme che hanno generalizzato la facoltà del privato di ottenere l’ostensione degli =tti amministrativi che lo riguardano ed una giurisprudenza tendenzialmente favorevole ad una interpretazione estensiva delle stesse hanno =pprestato dei rimedi abbastanza efficaci per consentire al privato di conoscere e di =cquisire gli atti e i documenti necessari per la ricostruzione delle scelte della =.a. (e per la relativa prova).
Da quanto detto può inferirsi che il =rogressivo abbandono del modello di diritto amministrativo autoritario e la =endenza verso un modello paritario, con la valorizzazione di tutti gli aspetti =onvenzionali e partecipativi, che vedono l’amministrazione “incontrarsi” con i =rivati, comportando l’attenuazione (o addirittura il venir meno) della =ituazione di disuguaglianza delle parti sul piano sostanziale, influiscono sul =rocesso e conducono, per quanto concerne l’istruzione, alla progressiva =iespansione del principio dispositivo puro, con la conseguente incidenza sull’area di operatività del metodo acquisitivo, che vede ridotta la sua ragione =’essere in presenza di una posizione delle parti che si avvia a divenire =aritaria.
Era tuttavia innegabile la scarsità dei mezzi di prova previsti nel =rocesso
amministrativo. La limitazione dell’accesso autonomo al fatto da parte =el giudice
amministrativo discendeva essenzialmente dalla tradizionale configurazione del
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processo amministrativo quale giudizio sull’atto e =on sul rapporto sostanziale
sottostante, oltre che dalla ritenuta =nsindacabilità della discrezionalità tecnica.
Tale impianto normativo era rimasto sostanzialmente immutato, nonostante le
=iserve della dottrina più avvertita, l’interpretazione estensiva da parte =ella
giurisprudenza amministrativa più sensibile ai valori della =ffettività della tutela
giurisdizionale e qualche intervento correttivo peraltro, =lquanto timido, della Corte
costituzionale (la sentenza 23 aprile 1987, n.146 =arificò, quanto ai mezzi istruttori
ammissibili nelle controversie in materia di =avoro, il processo amministrativo a quello
civile; la sentenza 18 maggio 1989, =. 251 ritenne, peraltro, che il metodo acquisitivo
valesse ad assicurare la =SPAN style="COLOR: black">parità processuale fra le parti,
sicché la =ancata estensione dei mezzi probatori previsti dal codice di procedura civile
=er la tutela dei diritti soggettivi al processo amministrativo non assurgeva a =izio di
legittimità costituzionale, rientrando nella discrezionalità del =egislatore provvedere o
meno a tale estensione; la sentenza 19 marzo 1996, n. 82 =a escluso l’esistenza di un
principio costituzionalmente rilevante di =ecessaria uniformità di regime processuale
tra i diversi tipi di processo, in =articolare tra quello civile e quello amministrativo,
finendo in tal modo per =vallare la limitazione dei mezzi di prova in =uest’ultimo).
La L. n. 205 del 2000 ha innovato la materia per quanto attiene sia alla
=previsione di nuovi mezzi istruttori che alle modalità della loro ammissione.
Il nuovo art. 44 del T.U. n. 1054 del 1924, come sostituito dall’art. 16 della =. n.
205, ammette la consulenza tecnica d’ufficio anche in sede di giurisdizione =i
legittimità, mentre l’art. 35, comma 3, del D. lgs. 80 del 1998, =ostituito dall’art. 7
della L. n. 205, stabilisce che il giudice amministrativo, =elle controversie devolute
alla sua giurisdizione esclusiva, può disporre l’assunzione dei mezzi di prova previsti
dal codice di procedura =ivile, nonché della consulenza tecnica d’ufficio, esclusi
soltanto =’interrogatorio formale ed il giuramento.
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Non può quindi negarsi che notevoli progressi sono stati compiuti. Al riguardo
=erita un cenno il problema della sindacabilità della discrezionalità tecnica, =he si
intreccia con la possibilità per il giudice di avvalersi della =onsulenza tecnica.
Sul punto, è da ritenere sussistente il =otere del giudice amministrativo di conoscere i fatti in modo pieno (c.d. accesso =iretto al fatto), potendo egli verificare, eventualmente col conforto della =onsulenza tecnica, la logicità, la congruità, la ragionevolezza e =’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, ma senza spingersi oltre, fino ad =esprimere proprie autonome scelte, perché in tal caso invaderebbe la =fera di potere propria della p.a. (questi princìpi sono stati più volte =ffermati dalla giurisprudenza, particolarmente con riguardo al sindacato sui =rovvedimenti delle Autorità indipendenti: cfr. Cons. St., Sez. IV, 13 =ttobre 2003, n. 6201; Sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926; Sez. VI, 6 febbraio 2009, n. 694; =. G.A. 21 novembre 2006, n. 731).
L’orientamento giurisprudenziale indicato mira a garantire, con l’effettività della
=utela giurisdizionale, l’esclusione di ambiti franchi da tale tutela, al =ine di assicurare
un giudizio coerente con i princìpi di cui agli artt. 24, =11 e 113 Cost. nonché all’art. 6
della Convenzione. A tal fine è infatti =ecessario che la pretesa fatta valere in giudizio
trovi, se fondata, la sua concreta soddisfazione, che il giudice abbia una giurisdizione
piena (abbia, =ioè, il potere di valutare sia le questioni di fatto che di diritto), che il
=ontrollo giurisdizionale su un atto amministrativo non sia limitato ad aspetti =ormali
ma si estenda alla compatibilità di esso con l’oggetto e lo scopo della =orma attributiva
3.5. La Corte europea, ha, in più occasioni, ritenuto che la nozione di giusto
=rocesso si oppone, salvo “imperiosi motivi di interesse generale”, =ll’ingerenza del
potere legislativo nell’amministrazione della =iustizia.
Vorrei prendere spunto da questa =ffermazione per fare un accenno alle leggi-
provvedimento, le quali trovano, nella =iurisprudenza costituzionale e in quellaamministrativa, un avallo, a mio avviso ingiustificato. =ondivido infatti l’opinione di un autorevole Autore, secondo cui gli interventi =n via legislativa su singoli rapportigiuridici (ad esempio, come è avvenuto =i recente, revocando bandi di gara orisolvendo contratti in corso) =omportano “l’usurpazione della legalità da parte del legislatore” (MERUSI).
La Corte costituzionale esclude la =ussistenza di una riserva di amministrazione
quale limite all’attività =egislativa, per cui il diritto di difesa del cittadino viene aconnotarsi secondo il regime =ipico dell’atto legislativo adottato, mentre il Consiglio
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di Stato ha =itenuto che, nel caso di leggi-provvedimento, non sia configurabile
la violazione =ell’art.6 della Convenzione (Sez. IV, 24 marzo 2004, n. 1559; 10 agosto 2004, n. 5499).
A mio avviso, il =rasferimento dalla sede giurisdizionale amministrativa a
quella costituzionale non =ostituisce un rimedio adeguato a soddisfare le esigenze di
tutela giurisdizionale =mposte dalla Convenzione, tenuto anche conto dello scrutinio
“stretto”, =eramente esterno, sulla manifesta illogicità dell’intervento legislativo,
=ompiuto dalla Corte costituzionale per le leggi-provvedimento, che conduce la Corte
=tessa, nella quasi totalità dei casi, a ritenere ammissibile la sostituzione =ella legge al
provvedimento amministrativo (in un caso a me accaduto quando presiedevo il TAR
del Lazio, concernente la revoca per legge delle =oncessioni per l’alta velocità
ferroviaria e la rilevante riduzione della =isura del previsto indennizzo, fu deciso di
proporre la pregiudiziale comunitaria =nziché sollevare la questione di legittimità
3.6. Altre pronunce del =onsiglio di Stato, che qui possono essere solo menzionate,
- il rispetto del contraddittorio, in ordine al quale Sez. VI, 30 settembre =008, n.
4699 =a affermato che, in materia di deposito delle memorie nel giudizio
=’appello, l’orientamento consolidato - secondo cui non si può tener conto =elle
memorie o della documentazione depositate dalla parte dopo la scadenza del
termine =i dieci giorni, previsto per tali adempimenti dall’art.
=st1:metricconverter ProductID="23 L" w:st="on">23 L. n. 1034 del =971,
applicabile anche al giudizio d’appello - costituisce espressione del =enerale
principio di rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al principio
dell’equo processo di cui all’art.6 della Convenzione (v. =nche Sez. V, 14 aprile
- L’irretrattabilità del =iudicato, principio cardine del nostro ordinamento, che
discende dal principio generalissimo della certezza dei rapporti giuridici, per cui
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una norma =i legge successiva non può influire sul giudicato anche quando abbia
natura interpretativa (Sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 303, che peraltro afferma =he
il principio trova copertura costituzionale nell’art.111, ma, esclusa la =iretta
operatività della Convenzione nell’ordinamento interno, non si =ronuncia in
ordine ai rapporti tra il principio stesso e la Convenzione, in mancanza =i un
- In materia di esecuzione del giudicato, l’ordinanza della Sez. V, 4 =aggio 2006,
n. 2474 =a rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità
=ostituzionale della disposizione che preclude l’esecuzione in sede
giurisdizionale =i decreti ingiuntivi divenuti esecutivi, con riferimento, fra
l’altro, =ll’art. 6, par. 1 e 13, e all’art.1 del prot. n. 1 della Convenzione. La
Corte =ostituzionale, con sentenza 7 novembre 2007, n. 364, ha dichiarato
l’illegittimità =costituzionale dell’art. 7 quater del D.L. 31 gennaio 2005, n. =,
inserito dalla legge di conversione 31 marzo 2005, n. =st1:metricconverter
ProductID="43, in" w:st="on">43, in quanto =iola le attribuzioni costituzionali
dell’autorità giudiziaria cui spetta la =utela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.),
nonché il ragionevole - e quindi legittimo – =ffidamento delle parti (artt. 3 e 24
- Con riguardo al contenzioso elettorale, l’ordinanza del C.G.A. 29 maggio =008,
n. 489 =a sollevato la questione di legittimità costituzionale, anche in
=iferimento all’art. 6 della Convenzione, delle disposizioni che non prevedono
l’impugnabilità dinanzi al giudice amministrativo delle decisioni =ell’Ufficio
elettorale centrale in materia di esclusione di candidati o di liste dal
=procedimento elettorale (la Corte costituzionale, con ordinanza 27 marzo
=009, n.90, ha dichiarato manifestamente inammissibile una questione in
=ateria analoga, sollevata dal TAR Sicilia – Sez. Catania, in quanto formulata
=n modo perplesso e contraddittorio, senza alcuna dimostrazione della
Possono poi menzionarsi alcune decisioni =el Consiglio di Stato le quali, al
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contrario, hanno escluso il contrasto =ra disposizioni interne e l’art. 6 della
- In materia di difesa tecnica, =/SPAN>è stato affermato che neppure in forza
dell’art. 6 della Convenzione può =itenersi ammissibile un ricorso al Consiglio
di Stato che non sia stato =ottoscritto da un avvocato ammesso al patrocinio
davanti alla Corte di Cassazione (Sez. =IV, ord., 30 agosto 1994, n. 1009).
- In tema di istanza di fissazione di udienza e di dichiarazione di perenzione del
=giudizio, è stata considerata conforme alla Convenzione la =rescrizione di
rinnovo dell’istanza di fissazione di udienza per i ricorsi ultradecennali, ex art.
9, comma 2, =ella legge 21 luglio 2000, n. 205 (Sez. IV, 21 gennaio 2003, n.
- Con riguardo alle sentenze in forma semplificata previste dall’art. 9 =ella legge
21 luglio 2000, n.205, cfr. Sez. IV, 12 giugno 2003, n. 3312.
3.7. Non può mancare, in =uesta esposizione, un cenno alla ragionevole durata del
processo prevista sia =alla Convenzione che dall’art. 111 Cost.
E’ innegabile che la nostra situazione =iudiziaria (di tutte le giurisdizioni, forse
di quella amministrativa un po’ =eno) sia, sotto questo aspetto, a dir poco drammatica.
Tuttavia, il giudice =mministrativo (Consiglio di Stato e TAR) non è
direttamente coinvolto nel controllo sull’applicazione del principio della ragionevole
durata, anche alla =tregua dei criteri stabiliti dalla Corte Europea, ma è, piuttosto, un
soggetto =assivo rispetto alle Corti d’appello e alla Corte di Cassazione, alle quali
=ompete la definizione dell’equa riparazione (v., da ultimo, Cass. 3 gennaio =008, n.
Vorrei soltanto ricordare =e modifiche che stanno per essere apportate alla L. 24
marzo 2001, n. 89 =c.d. legge Pinto), contenute nell’art. 23 dell’A.S. n.1440, recante
=umerose norme in materia giudiziaria, attualmente all’esame della Commissione
=iustizia. Mi sembra degno di nota il richiamo, contenuto nella disposizione, alla
=iligenza della parte, alla quale è richiesta, per ottenere il riconoscimento
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dell’indennizzo, “una espressa richiesta al giudice procedente di =ollecita
definizione del processo”, che per il processo amministrativo consiste =el deposito di
nuova istanza di fissazione dell’udienza, con espressa =ichiarazione che essa è
formulata ai sensi e per gli effetti della legge in questione.
In conclusione, pur =scludendo – come si è rilevato - la diretta applicabilità
delle norme della =onvenzione e la disapplicazione delle norme interne in contrasto
con esse, è =icuramente riscontrabile, nella giurisprudenza amministrativa, la tendenza
a =ercare, sul piano interpretativo, una convergenza tra diritto interno e disposizioni
=ella Convenzione, per il perseguimento degli obiettivi di immediatezza, =ienezza e
satisfattività della =utela giurisdizionale ai quali – come si è in precedenza osservato –
4. Dopo aver trattato del processo amministrativo e prima di passare agli =spetti
sostanziali, vorrei accennare ad una questione che mi è venuta in =ente quando, giorni
fa, a Palazzo Spada, abbiamo presentato un volume del prof. =/SPAN>MARENGHI,
intitolato Procedimenti e =rocessualprocedimento.
La questione è questa: è possibile riferire l’art. 6 della =onvenzione, dettato per il processo
civile e penale, ma applicabile – come si è =etto – al processo amministrativo, anche al procedimento
Io propenderei, con la dovuta cautela, per la soluzione positiva, =enuto conto
che tra procedimento e processo esistono strette interrelazioni, =eciproche influenze,
una osmosi continua che ha origini risalenti nel tempo.
E’ proprio l’analisi in chiave ricostruttiva a testimoniare =he il passaggio
dall’uno all’altro non è stato unidirezionale e che esso =a visto artefice talvolta la
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A titolo esemplificativo si può far riferimento all’obbligo =i motivazione che
riguarda tanto l’atto amministrativo quanto le =ronunce del giudice; all’aspetto
temporale con il dovere della p.a. di concludere = procedimenti amministrativi entro
termini prestabiliti (art. 2, comma 2, =. n. 241 del 1990) e il dovere del giudice
imposto dalla ragionevole durata =el processo o da singole disposizioni di legge come
l’art. 23 bis, =omma 6, =. n. 1034 del 1971 per il termine di pubblicazione del
dispositivo della =entenza; al rispetto del principio del contraddittorio che si concreta
in numerosi adempimenti nel processo non diversamente da quel che avviene nel
=rocedimento, con l’obbligo di comunicare l’avvio di esso (art. 7 della L. n. 241) =
con quello di valutare le memorie scritte presentate dai privati (art. 10, =omma 1, lett.
b), della L. n. 241), per non parlare delle varie forme di =ntervento previste in singoli
procedimenti soprattutto in materia urbanistica o ambientale; alla estensione della
legittimazione sia processuale, ad =pera soprattutto della giurisprudenza, che
procedimentale, come attestato, in =ia generale, dall’art. 9 della L. n. 241 e, in
particolare ambiti, da =olte norme speciali.
In una prospettiva più ampia, mi sembra significativo rimarcare =he, a fronte del
rafforzamento del valore dell’individuo in seno alla =ocietà grazie ad un insieme di
ragioni storiche e di norme di cui proprio la =onvenzione rappresenta uno degli
elementi più importanti, si constata l’eclissi =dell’autoritarietà sostituita dalla cultura
del servizio a vantaggio =ei cittadini e delle imprese, sia nel procedimento che nel
Manifestazione tra le più salienti dell’osmosi tra =rocedimento e processo va
certamente individuata nell’art. 21 octies della L. =. 241 del 1990, introdotto dalla L.
n. 15 del 2005, in =irtù del quale il giudice amministrativo non è più tenuto ad
arrestarsi alla =alutazione della illegittimità formale o procedimentale dell’atto
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impugnato, su cui =on può quindi abbattersi la scure dell’annullamento allorché egli si
avveda =ella sua legittimità sostanziale all’esito del doveroso esame prognostico =irca
l’esito che il procedimento avrebbe avuto qualora l’errore formale o =rocedimentale,
pure acclarato, non fosse stato commesso. Si è avuto quindi il =assaggio dal giudizio
su un provvedimento reale alla prognosi su un procedimento =irtuale, con un
clamoroso cambio di prospettiva: l’atto amministrativo non è =iù l’oggetto esclusivo
del giudizio amministrativo, che deve invece =stendersi, rispettando sempre lo spazio
riservato alla discrezionalità =mministrativa, al rapporto, con la verifica di ciò che
nella vicenda amministrativa =arebbe comunque successo se le dedotte illegittimità
Ho rilevato in precedenza, con riguardo all’istruzione, che la =osizione di parità che il privato è
andato via via acquisendo nei confronti dell’Amministrazione, sul piano sostanziale, ha prodotto
effetti su =uello processuale, determinando la parità delle parti nel processo; per =onverso, questa
parità processuale si riflette sul piano sostanziale, in tal =odo consentendo l’applicazione dei princìpi
dettati dall’art. 6 della =onvenzione, alla stregua dell’interpretazione della Corte europea, anche al
In tal modo si ha la trasposizione di princìpi dettati per il =rocesso al procedimento
amministrativo, facendosi derivare da una norma di diritto processuale una norma di diritto
amministrativo sostanziale applicabile =i rapporti tra cittadino e amministrazione (CASSESE).
A tale riguardo può essere interessante ricordare che – come =E8 emerso in un Convegno
tenutosi tempo fa presso l’Università di Milano a =eguito di una ricerca comparata sul procedimento
amministrativo nei Paesi =ell’Europa occidentale – la L. n. 241 del 1990 è risultata la più garantista
=er il privato, proprio in virtù dei princìpi e degli istituti =particolarmente quello della
partecipazione) che ho in precedenza menzionato.
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4.1. =/B>Le garanzie del giusto processo =ancite dall’art. 6 della Convenzione e, in particolare, i principi di =mparzialità e di indipendenza del giudice e di garanzia del contraddittorio, sono =pplicabili ai procedimenti contenziosi o semi-contenziosi dinanzi alle Autorità =mministrative indipendenti, come è stato affermato dalla Corte europea (27 agosto =002, Didier) e come si riscontra anche nella giurisprudenza del =iudice amministrativo. Il Consiglio di Stato (Sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199) ha =itenuto che la partecipazione di funzionari istruttori all’adunanza =ell’Autorità garante della concorrenza e del mercato non ne vizia la deliberazione sempre che =ssa si sia risolta nella mera sottoposizione degli elementi istruttori ai =omponenti dell’organo deliberante. Il TAR del Lazio, con riferimento alla CONSOB, ha affermato che =a partecipazione alla discussione di funzionari, che esprimono delle =alutazioni e non si limitano al ruolo di meri referenti istruttori, è idonea a =eterminare la illegittimità della deliberazione della Commissione (Sez. I, 10 aprile =002, n.3070). 4.2.La garanzia di un giusto procedimento =mministrativo può ritenersi affermata dalla recente sentenza della Corte =ostituzionale (27 marzo 2009, n. 87), che – anche se con riferimento all’art. 108 =ost. e ritenendo assorbite le censure mosse in relazione all’art. 24 – ha =ichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che escludono che =l magistrato amministrativo o contabile, sottoposto a procedimento =isciplinare, possa farsi assistere da un avvocato (un analogo principio era stato =ffermato per i magistrati ordinari – per i quali, peraltro, il procedimento =isciplinare ha carattere giurisdizionale – da Corte cost. n. 497 del
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5. = Passando a trattare, da ultimo, degli =spetti di diritto amministrativo sostanziale, va ricordato che in una realtà caratterizzata da una sempre maggiore molteplicità di fonti normative, =e disposizioni della Convenzione e l’interpretazione datane dalla Corte =i Strasburgo rivestono un ruolo decisivo per il rafforzamento dei diritti fondamentali dell’uomo. L’incidenza delle norme della Convenzione nel nostro ordinamento aumenta anche =razie al crescente richiamo dei loro contenuti da parte della giurisprudenza che, =nsieme all’interpretazione evolutiva della Carta costituzionale e del =rattato della Comunità, vivifica l’essenza di tali diritti. 5.1. Quanto alla proprietà privata, da considerare come uno dei principali diritti =fondamentali, vorrei accennare a due aspetti che sono particolarmente =ilevanti: l’occupazione acquisitiva e l’indennità di =spropriazione. Sono ben noti i concetti di occupazione appropriativa o accessione invertita e di =occupazione usurpativa. Un fenomeno di “inciviltà tipicamente italiana”, avrebbe detto M.S. =/SPAN>GIANNINI, fortemente stigmatizzato dalla Corte europea, la quale ha ritenuto il =uadro normativo italiano non aderente alla Convenzione europea in quanto un comportamento illegittimo o illecito non può fondare l’acquisto di =n diritto, per cui l’accessione invertita contrasta con il principio di =egalità, inteso come preminenza del diritto; fermo restando che spetta all’ordinamento =nterno l’individuazione dei mezzi di tutela in relazione a fattispecie nelle =uali l’acquisizione del bene sia divenuta sine titulo. Tali argomentazioni hanno trovato attuazione all’interno del nostro =rdinamento con la regolamentazione introdotta dal testo unico delle disposizioni
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in =ateria di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 327/2001, redatto – mi =iace ricordare – da una Commissione speciale del Consiglio di Stato), il =ui art. 43 disciplina in modo innovativo la fattispecie dell’utilizzazione senza =itolo di un bene per scopi di interesse pubblico, consentendo il passaggio dall’accessione invertita all’acquisizione sanante. Illuminante al =iguardo è il parere dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato (29 marzo 2001, =. 4) sullo schema di testo unico, che pose in luce la essenzialità della riforma, =erché l’ordinamento doveva adeguarsi ai princìpi costituzionali ed a =uelli generali del diritto internazionale sulla tutela della proprietà (mentre prima =on lo era, perché in contrasto con l’art. 1 del prot. 1 della Convenzione, =ome più volte affermato dalla Corte europea). Il primo comma dell’art. 43 prevede che, valutati gli interessi in conflitto, =’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, =odificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo =ella pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo =atrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni (c.d. =cquisizione sanante). Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche =uando l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, il =ecreto di esproprio o l’atto dichiarativo della pubblica utilità dell’opera =ia stato annullato in sede giurisdizionale. Tale norma, pertanto, ha introdotto il principio secondo cui l’autorità amministrativa può acquisire al patrimonio pubblico anche un bene =ccupato senza titolo idoneo, purché ciò avvenga sulla base di un formale =rovvedimento amministrativo fondato sulla “valutazione degli interessi in =onflitto” e con il riconoscimento al privato del ristoro del danno. Il provvedimento di acquisizione, che assorbe la dichiarazione di pubblica
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=tilità ed il decreto di esproprio, costituisce espressione di potere =iscrezionale e deve indicare in che modo sono stati acquisiti, ponderati e valutati gli =interessi in conflitto, nel senso che l’amministrazione procedente non =eve considerare soltanto la astratta idoneità dell’opera a soddisfare =sigenze di carattere generale ma, in ragione della natura eccezionale della =rocedura, deve compiere una esaustiva ponderazione degli interessi in conflitto dando =onto con una congrua motivazione della sussistenza attuale di un interesse =ubblico specifico e concreto. Pertanto, in caso di illegittimità o di assenza della procedura espropriativa e =i realizzazione dell’opera pubblica, l’unico rimedio per evitare la =estituzione dell’area è l’emanazione di un provvedimento ex art. 43, in assenza =el quale l’amministrazione non può addurre l’intervenuta realizzazione =ell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva che impedisce la =estituzione dell’area, sicché solo il detto atto di acquisizione può produrre =’ablazione del diritto di proprietà. Come ha affermato l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (29 aprile =005, n.2), l’orientamento sostenuto dalla Corte dei diritti dell’uomo ha =rovato attuazione nella disciplina contenuta nel D.P.R. n. 327 del 2001, dovendo =onvenirsi che l’istituto dell’acquisizione sanante rispetta i parametri imposti =alla Corte europea e dai princìpi costituzionali perché l'acquisto del bene avviene in virtù di un =rovvedimento previsto dalla legge con efficacia ex nunc; il provvedimento è sindacabile e l'esercizio della discrezionalità =E8 circondato da particolari cautele di cui va verificato il rispetto in sede =iurisdizionale; il risarcimento del danno è in ogni caso assicurato; e la restituzione =dell’area, in assenza di provvedimento, non può essere impedita, se =on per scelta autonoma del privato che rinunci alla =tessa.
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Scompaiono così dal nostro ordinamento l’occupazione usurpativa e quella =ppropriativa, ponendo fine anche ad una più che ventennale storia di contrasti giurisprudenziali sulla loro applicazione (cfr. al riguardo, con =spresso riferimento alla giurisprudenza della Corte europea, Cons. St., Sez. IV, =0 gennaio 2006, n. 290; 21 maggio 2007, n. 2582). La soluzione del problema adottata con l’art. 43, soprattutto a seguito =elle precisazioni poste dalla decisione dell’Adunanza Plenaria, ha trovato condivisione da parte del Consiglio d’Europa (riunione del Comitato =ei Ministri del 14 febbraio 2007), che si è “rallegrato” per la giurisprudenza =el Consiglio di Stato, che ha sopperito ad alcune incertezze dell’art. =st1:metricconverter ProductID="43, ha" w:st="on">43, ha auspicato =he tale giurisprudenza sia seguita dalle altre giurisdizioni italiane ed ha =ncoraggiato le autorità italiane ad adottare le altre misure necessarie per =liminare la prassi dell’espropriazione indiretta e per garantire la conformità =l principio di legalità di tutte le occupazioni di aree da parte dell’amministrazione. Un problema lasciato aperto dall’art. 43 era quello dell’entità del =isarcimento dovuto per effetto del provvedimento di =cquisizione. Correttamente l’art. 43 parla di risarcimento, indicando – al comma 6 – i =riteri per la sua determinazione, che consistono nell’indennità di espropriazione, =aggiorata degli interessi moratori dal giorno dell’occupazione senza titolo. Ora, mentre il criterio generale per la determinazione dell’indennità di =sproprio consiste nel valore del bene (art. 32), per le aree edificabili l’art. =7 (cui l’art. 43, comma 6, fa rinvio) indicava i criteri restrittivi =ntrodotti dal D.L. n. 333 del 1992. Ciò era stato stigmatizzato dalla Corte europea in numerose occasioni, per
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cui =a Corte costituzionale (che pure, in precedenza, aveva ritenuto =ostituzionalmente legittimi i criteri di cui al D.L. n. 333 del 1992), stavolta, facendo =eva sul nuovo art. 117, primo comma, Cost. e utilizzando gli obblighi =nternazionali come norme interposte nel giudizio di costituzionalità delle leggi =osì integrando il parametro costituzionale, ha dichiarato la illegittimità =costituzionale delle disposizioni del 1992 (con le già richiamate =entenze n. 348 e 349 del 2007). Ciò ha indotto il legislatore ad intervenire immediatamente, con l’art. 2, =ommi 89 e 90, della legge finanziaria per il 2008 (n. 244 del 2007), introducendo =uove norme per la determinazione dell’indennità di esproprio per i beni =n questione, da commisurare al loro valore venale, ridotto del 25% allorché =’espropriazione è diretta ad attuare interventi di riforma economico-sociale (e non =ere espropriazioni “isolate”). In tal modo il sistema è stato riportato a razionalità, equità, diritto. 5.2. Nelle materie devolute alla cognizione del giudice amministrativo, la =iurisprudenza della Corte di Strasburgo relativa alla tutela del diritto di =roprietà ha avuto ulteriori ripercussioni di grande rilievo. E’ il caso dell’indennizzabilità dei vincoli preordinati alla =spropriazione, tema riguardo al quale - com’è noto- sono intervenuti prima la Corte =ostituzionale con la fondamentale pronuncia n.179 del 1999 e poi il legislatore con =’art.39 del testo unico sulle espropriazioni, a conferma della confluenza di =93formanti” di diversa natura a vantaggio di una tutela sempre più ampia ed =ffettiva delle posizioni soggettive dei cittadini. Il tema concerne l’esercizio dei poteri pubblici in materia di governodel territorio, rispetto al =uale si riconosce all’Amministrazione un ampio margine di
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discrezionalità in =uanto l’ingerenza nel diritto di proprietà dei privati risponde alle =sigenze di interesse generale, ma questo diritto non può subire un eccessivo sacrificio. Nell’arresto Scordino contro il Governo =taliano del 15 luglio 2004, l’assoggettamento alle =revisioni vincolistiche, più volte decadute e reiterate, e l’assenza di =ualsiasi indennizzo, creando nei proprietari una situazione di incertezza totale =n ordine alla sorte dei loro beni, hanno indotto la Corte di Strasburgo a dichiarare che essi hanno sopportato un onere speciale ed esorbitante =he ha rotto il giusto equilibrio che deve sussistere tra le esigenze =ell’interesse generale, da un lato, e la salvaguardia del diritto al rispetto dei =eni, dall’altro. Sulla scia anche dell’orientamento di cui questa pronuncia costituisce =spressione, la nostra giurisprudenza ha precisato che l’apposizione di un vincolo di inedificabilità per un lasso di tempo irragionevolmente lungo viola il =iritto fondamentale alla proprietà, sempreché non sussista un rilevante =otivo di interesse pubblico che lo giustifichi (C.G.A. 19 dicembre 2008, n.1113, est ZUCCHELLI). Il richiamo alle decisioni del giudice sovranazionale consente di porre l’attenzione su dinamiche giuridiche - quali il contemperamento tra =’interesse pubblico e le posizioni soggettive dei singoli, nonché la =iscrezionalità dell’autorità amministrativa in materia di governo del territorio - =he appartengono al patrimonio di cognizione del giudice amministrativo per inveterata tradizione e cultura. 5.3. Sarebbe tuttavia un errore limitare l’interesse del giudice =mministrativo verso la Convenzione al solo diritto di proprietà, perché anche altre =osizioni
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giuridiche soggettive che rientrano nel suo ambito di cognizione possono =ssere correlate a diritti fondamentali consacrati nella Convenzione stessa. Ciò avviene, ad esempio, quando l’atto amministrativo sia considerato nel giudizio come attuazione illegittima =i un potere amministrativo. A tale riguardo va rimarcato che la Corte costituzionale si è pronunciata a =avore della legittimità costituzionale di una norma che, istituendo nuove =potesi di giurisdizione esclusiva, ha riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine a controversie concernenti la violazione di diritti fondamentali in dipendenza dell'illegittimo esercizio del potere pubblico da parte della p.a., in =uanto non osta alla legittimità costituzionale del sistema di riparto =iurisdizionale la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi coinvolti nelle =elative controversie, non essendovi alcun principio o norma nel nostro =rdinamento che riservi al giudice ordinario la tutela dei diritti costituzionalmente =rotetti (Corte cost. 27 aprile 2007, n.140). In dottrina (VARRONE) si è sostenuto, con riferimento al diritto di proprietà e alla =ibertà di iniziativa privata, che l’ampliamento o la compressione di facoltà =he interferiscono con l’interesse generale, richiedendo l’adozione di =tti autoritativi da parte della p.a., implicano in capo al privato posizioni =i interesse legittimo e comportano conseguentemente la cognizione delle =elative controversie da parte del giudice amministrativo. In effetti, i diritti e le libertà previsti dalla Convenzione spesso si =ntersecano con l’esercizio dei pubblici poteri: ciò è inizialmente valso in =apporto a diritti fondamentali che hanno una forte componente economica =proprietà, iniziativa economica), ma l’esperienza ha dimostrato che il potere di =onformare le situazioni giuridiche ricollegabili ad essi può riguardare, entro =erti limiti, anche altri diritti fondamentali, nel campo delle libertà di =iunione, di
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associazione, di pensiero e di espressione, e finanche il diritto =lla salute – l’unico definito espressamente fondamentale dalla nostra =ostituzione (art. 32) - rispetto a vertenze che attengono, ad esempio, al rimborso di =edicinali (Cons Stato, Sez. IV, 15 giugno 2004, n.4004) oppure alla =utorizzazione ad effettuare cure mediche all’estero (Cons. Stato, Sez. V, 17 luglio =004, n. 5132). [Va, peraltro rilevato che, in materia di rimborso delle spese sanitarie =ostenute da cittadini residenti in Italia presso centri di altissima =pecializzazione all’estero, la Cassazione (Sez. Un. 6 febbraio 2009, n. 2867) ha =ffermato che, non potendo il diritto fondamentale alla salute essere affievolito dalla =discrezionalità meramente tecnica dell’amministrazione in ordine ai =resupposti per l’erogazione della prestazione, le relative controversie rientrano =ella giurisdizione del giudice ordinario.] In altra materia, pur sempre attinente a diritti fondamentali, la Corte costituzionale, con la sentenza 27 febbraio 2008, n. 39 - su rimessione =el TAR dell’Emilia-Romagna, Sezione di Parma (ord. 20 febbraio 2007), dinanzi =l quale aveva proposto ricorso un soggetto, fallito da molti anni e ancora =scritto, nonostante la chiusura del fallimento, nell’albo dei falliti, e =erciò escluso dalla graduatoria di un concorso per sedi farmaceutiche - richiamando la =giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di incapacità =ersonali connesse allo stato di fallito, ha dichiarato l’illegittimità =ostituzionale delle disposizioni della legge fallimentare all’epoca vigenti (artt. =0 e 142 R.D. n. 267 del 1942), perché lesive dei diritti della persona in =uanto incidenti sulla possibilità di sviluppare le relazioni col mondo =steriore e foriere, quindi, di un’ingerenza non necessaria in una società democratica. Così avviene anche per il diritto all’istruzione che, oltre ad avere rango costituzionale in virtù dell’art.34 Cost., è sancito nella Convenzione =ll’art.2 del
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prot. n.1, in cui è stabilito che esso non può essere rifiutato a nessuno. E’ infatti alla conformità di tali parametri che va rapportata la =egittimità di atti amministrativi come i provvedimenti che fissano il c.d. numero =rogrammato per l’accesso a talune facoltà universitarie. Altrettanto importante è il momento della fruizione di questo diritto che comporta =l riconoscimento della legittimazione degli alunni, quali utenti del =ervizio scolastico, ad impugnare dinanzi al giudice amministrativo gli atti di =usione, scissione o soppressione di istituti scolastici, adottati =ell’esercizio della potestà di autorganizzazione della p.a. (Cons. St., Sez. VI, 16 =ebbraio 2007, Ben più complesse sono le situazioni in cui la tutela di un diritto =ondamentale si interseca con quella di un altro. In una società che assume sempre più rapidamente connotati multietnici, =on la necessità di contemperare le esigenze della collettività con il =ispetto delle convinzioni individuali, riveste un ruolo particolarmente delicato, al =ine di disinnescare possibili occasioni di conflitto, l’obiettivo di tutelare =l diritto all’istruzione senza ledere la libertà di religione =arimenti riconosciuta dalla Convenzione. Nel caso Sahin contro il Governo =urco (29 giugno 2004), la Corte di Strasburgo ha escluso, in linea con alcuni =uoi precedenti arresti, la violazione della libertà religiosa nei termini =anciti dall’art.9 della Convenzione in riferimento alla regolamentazione dell’Università di Istanbul che sottopone a restrizioni la pratica =i portare il foulard islamico. Pur riconoscendo alla libertà religiosa la valenza di uno dei fondamenti =i una «società democratica», nonché di elemento essenziale della identità dei =redenti e nel contempo di bene prezioso per gli atei, la Corte ha affermato che
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=’art. 9 della Convenzione non protegge qualunque atto motivato o ispirato da una =eligione o da una convinzione e non garantisce sempre il diritto di comportarsi in =mbito pubblico nel modo dettato da una convinzione, ritenendo conforme allo =tesso la predetta regolamentazione in considerazione del rispetto del principio =i laicità dello Stato e della protezione dei diritti e delle libertà Di un tale tipo di controversie si è occupato il Consiglio di Stato in =apporto alla legittimità degli atti della p.a. di esporre, in esecuzione di norme regolamentari, il crocifisso nelle aule scolastiche (Sez. VI, 13 =ebbraio 2006, Al riguardo, in sintonia con il consolidato orientamento della Corte costituzionale, è stato riconosciuto che la laicità è un principio =upremo del nostro ordinamento costituzionale, sebbene non proclamato espressamente =ella La questione di verificare la compatibilità della decisione di esporre il =crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità non =uò prescindere dalla preliminare considerazione che il crocifisso è =imbolo che assume diversi significati anche a seconda del luogo ove è esposto. In ambito scolastico l’esposizione del crocifisso non riveste un ruolo =minentemente religioso, ma costituisce espressione dei =alori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di =utonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, di solidarietà umana, =i rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana, ovverosia =i quei valori che sono scolpiti tra i “principi fondamentali” della prima =arte della Costituzione. Da ciò la conclusione che la decisione di esporre il crocifisso nelle =ule
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scolastiche non è censurabile con riferimento al principio di =aicità dello Stato italiano. In effetti questo ragionamento induce a compiere una riflessione più ampia. In una società complessa come quella attuale, la tutela dei diritti =ondamentali non rappresenta solo un problema giuridico, ma ha implicazioni che =oinvolgono la bioetica, la religione, la medicina, la filosofia, le scienze, in una =mescolanza di apporti e di suggestioni che non può lasciare =nsensibile il giudice, costituzionale, ordinario o amministrativo che sia. Ciò è particolarmente evidente riguardo al diritto alla vita come =’esperienza di questi mesi dimostra riguardo al testamento biologico, alla interruzione =elle cure nei malati in stato vegetativo permanente, all’uso degli embrioni =er curare malattie letali o gravemente invalidanti, ma non è meno vero =er molti altri diritti fondamentali consacrati nella Costituzione e nella Convenzione. A questo riguardo mi piace ricordare che, con riferimento alla libertà =eligiosa, il Pontefice, nel suo discorso all’ONU del 18 aprile =st1:metricconverter ProductID="2008, ha" w:st="on">2008, ha =ostenuto che la piena garanzia di essa non può essere limitata al libero esercizio del =ulto, ma deve avere una dimensione pubblica che si concreta nella possibilità =ei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale e =ella ricerca del dialogo tra le religioni quale strumento per favorire la =ace tra i popoli e la pacifica convivenza all’interno degli Stati. Questo =ichiamo si colloca fra i fattori più rimarchevoli che modellano l’attuale =ocietà, nella quale si verificano quelle controversie che i giudici, nell’ambito dei =rispettivi ambiti di cognizione, sono chiamati a risolvere, con un =pproccio culturale al passo con i tempi, cercando di dare piena tutela ai diritti =fondamentali.
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6. Non ritengo di andare oltre nella ricognizione delle pronunce nelle =uali il giudice amministrativo ha deciso rifacendosi in modo diretto o mediato =lla Convenzione e alla interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo. Confido che questa esposizione sia valsa a dimostrare quanto sia ingeneroso – e anche inesatto – il rilievo, talvolta presente in =ottrina, circa la scarsa attenzione del giudice amministrativo per la Convenzione e per =e decisioni della Corte europea. Con il riferimento alle sentenze in precedenza richiamate, ho inteso porre in =uce la condivisione degli stessi valori da parte del giudice europeo e del =iudice amministrativo, nonché la consonanza dei loro metodi di giudizio nella =icerca del giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la =ecessità di proteggere i diritti fondamentali individuali, nel ragionevole =ilanciamento tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della =omunità. Occorre, comunque, acquisire la consapevolezza della complementarietà dei ruoli =ra la Corte di Strasburgo e i giudici nazionali e quindi dell’esigenza del =empre maggiore coinvolgimento di questi ultimi nell’azione tendente al =iglioramento dell’applicazione della Convenzione in sede nazionale, anche =ttraverso la più approfondita conoscenza, da parte dei giudici nazionali, del diritto convenzionale (BARBAGALLO), come costantemente elaborato, in chiave evolutiva, dalla Corte europea, con =n’opera di cooperazione tra questi e quelli europei per la realizzazione di un =ero e proprio sistema integrato composto dall’ordinamento nazionale e da =uello internazionale in tema di diritti umani.
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